Crudo titanico, cobre iridiscente, rosa fluo, blu turchese, giallo di cadmio, vinavil, terra, petali di plumbago, radici secche, inchiostro, matita e pennarello su tela.
50 x 70 cm | Agosto 2019
Info jpr@lesfleursdemars.com

Manuela Montanaro
Il pianoforte di Bellamore
Bellamore andava alla riva ogni volta che il sole prendeva a scivolare, in quel momento del giorno che dicono ora d’oro, quando le colline e gli alberi e le bestie e tutte le genti si ricoprono di una patina del colore del miele. Allora Bellamore lasciava la pietra di casa sua e camminava verso l’acqua. Ancora oggi sopra ogni cisto da lì al mare c’è un po’ dei suoi capelli.
Andava Bellamore. Passava attraverso gli sciami di plumbago che le restavano appiccicati sulla alle e le rifiorivano poi al mattino dietro le orecchie e sulla fronte. Andava Bellamore a piedi nudi in mezzo all’oceano, scendeva sul fondale crepitante di sassi e conchiglie. Camminava fino alla fossa oltre i pomodori di mare. Là si sedeva sullo sgabello ricoperto di alghe e poggiava le mani sul pianoforte.
Le dita bianche, troppo corte spingevano sui tasti che non erano più neri e bianchi ma un tutt’uno color della polvere, viscido e meraviglioso. E mentre Bellamore suonava lui veniva. Dal blu cupo e lucido veniva l’uomo con la marsina logora. Le si sedeva accanto e poggiava la testa sulla sua spalla. Non le buttava mai gli occhi in faccia. Ogni volta si sedeva e fissava lo spartito che non c’era.
Nei giorni buoni prendeva a suonare con lei. Una Cumparsita veloce e tremenda. Certe sere invece, quando il cielo oltre il tetto del mare si arricciava di nuvole violacee, la lasciava ai suoi notturni melanconici, le strisciava sulla fronte le labbra aggrinzite dal sale e se ne tornava nel buio da cui era venuto.
E ogni volta che Bellamore tornava a casa sentiva il cuore farsi più molle e più caldo e le mani e i piedi, invece, si indurivano e quasi non si muovevano più. Ogni volta tornava a suonare la musica che nessuno sentiva e ogni volta un pezzo di pelle si faceva più denso, fino a che di Bellamore non restò che una pietra sulla strada verso casa. E il giorno che non seppe più muoversi e lui non poté più sentire il suono muto delle sue dita, andò a cercarla sulla terra.
E al centro della via acciottolata, tra la gramigna e la menta, là, trovò un sasso a forma di amore.
Fu allora che l’uomo con la marsina logora si sedette e poggiò la testa sulla pietra e quando al mattino si destò, sul masso c’era una chiazza di rosa e turchese e nero e piccoli lembi di fior
di plumbago che volavano via.
Biografia essenziale.
Manuela Montanaro, classe ’79, nasce e vive nella provincia di Bari. La provincia è il suo contorno e la sua visione. Cresce a Macondo e poi nelle terre senza nome di Ammaniti, fino a Holt, Rockmuse e Salt Lake City, oltreoceano. Inizia a scrivere a quasi quarant’anni e produce un manoscritto brutto. Poi incontra la forma breve e ne ha paura. Così inizia a raccontare storie che compaiono su ‘Tina e Risme.
A volte, per mestiere, salva vite animali.