L’inverno scorso, nella Fondazione casa-museo di César Manrique a Lanzarote, dove natura e arte si incontrano o si scontrano che dir si voglia, avvolti da un’inebriante torrida pace, con mia moglie Lisa nacque l’idea di questa che fu, prima un taccuino, poi un quaderno ed infine una storia raccontata attraverso 12 tele.
Storia che mi ha permesso di riprendere in mano tele e pennelli anni dopo un’altra storia, sempre raccontata su tela: quella della mia bici-icona Tetano e delle sue cigolanti e arrugginite avventure lungo i vicoli di Roma.
Questa, invece, racconta la spedizione di un botanico su Marte in un futuro lontano – ma non lontanissimo – dopo l’estinzione delle piante sulla Terra e la scoperta di nuove forme di vita vegetali che, a differenza degli uomini, non distinguono le radici dai fiori, ovvero la parte nascosta nelle viscere dalla parte scoperta verso il sole, così come chi si nutre nella terra da chi si nutre con la luce del cosmo, chi si nasconde da chi mostra la propria vanità, ma racchiudono in sé una – nuova – forma di bellezza totale.
L’idea è di rappresentare su tela questi fiori alieni simulando la tecnica delle illustrazioni botaniche del primo ‘800, in un continuo rimando a ieri, oggi e domani. Tele che non hanno tempo; anzi, ne sono totalmente prive, rivelando così, un’assenza.
Per compensare questa assenza e dare maggiore respiro alla narrazione ho voluto storie in altre forme da affiancare ad ogni tela. Ho chiesto così a dodici autori di raccontare un quadro con un loro testo. Autori che hanno – chi in un lontano passato o in un recentissimo presente – intrecciato i propri rami e le proprie radici con le mie.
Il risultato è una “raccolta cosmica”, come l’ha ben descritta uno di questi autori; una raccolta fragile, forte e presuntuosa, per usare invece parole mie.
I fiori rappresentati, così come le loro storie, ci insegneranno la via alla sopravvivenza, non solo della specie botanica e perché no, della specie umana, ma anche dell’idea stessa di bellezza.
ST / Gennaio 2020