Crudo titanico, cobre iridiscente, rosa fluo, verde permanente scuro, terra, fiori e radici secche, inchiostro, matita e pennarello su tela
50 x 70 cm | Febbraio 2019 | Collezione Privata
Info jpr@lesfleursdemars.com
Mariavittoria Dantomio
Marta (Director’s cut)
Sarà l’ultima volta in cui maledirò l’ascensore che non funziona e che nessuno riparerà, dato che la corrente non c’è più. Poteva andare peggio, potevo vivere al settimo piano, non avrei più una casa.
Perché mi do tanta pena a pensare cosa dovrei portare con me, non dovrei portare nulla, perlomeno nulla di questa vita. Posando la borsa su una seggiola mi torna in mente la scatoletta di nonna, prenderò qualcosa di inutile, un ricordo. È un piccolo scrigno in peltro, con una perla blu sopra, c’è poco e nulla, quello che c’era di buono se l’è preso qualcun altro. Non ho mai capito cosa se ne facesse di questo orologio fermo, non è nemmeno di pelle, eppure è l’unica cosa di cui mi ha chiesto di aver cura.
Lo indosso, dico addio ai muri, ai mobili, vestigio di una fine segnata, una lenta agonia fino a che non rimarrà più nessuno. Non so nemmeno più da quanto non vedo un pettirosso, oramai è tutto grigio, come potrebbero esserci colori se la vita non si rinnova? Questo pianeta si sta lasciando morire lentamente. Film e libri mi hanno sempre fatto pensare che saremmo esplosi col botto, vittime di un’apocalisse zombie, di asteroidi giganti, invece è uno stillicidio, chissà quanti muoiono nascosti, nel silenzio, senza che nessuno lo sappia. Io invece sono fortunata, è tutto merito di Mario, del suo talento per la botanica. È stato scelto per popolare la nuova colonia nell’orbita di Marte, è riservata agli studiosi, chi l’avrebbe mai detto che quel biondino dai riccioli impomatati -sua madre lo mandava dal barbiere ogni 15 giorni- che stava ore dietro al banco a guardare i miei trafficare con la terra, sarebbe stato selezionato per far parte dell’equipe che ha scoperto delle forme di vita vegetali su Marte. L’amore mi salverà, non finirò assieme alla Terra. Me la sento di essere l’Eva della nuova civiltà? Save the People, l’ente benefico che aiuta i poveri a lasciare (letteralmente) questo mondo, ci conta.
Fino a un paio d’anni fa rabbonivo le persone in coda dicendogli che eravamo sette miliardi, naturale che gli capitasse qualcuno davanti, bisognava aver pazienza, ora quanti saremo rimasti? Le strade sono deserte e ad ogni modo è meglio evitarle, me lo ripete sempre suor Erminia, come non lo sapessi. Le poche persone che vedo, ancora umane, sono i derelitti che curiamo nel convento. Oltre ad avermi dato qualcosa per riempire le ore, suor Erminia mi ha dato una speranza, dietro il convento c’è una vecchissima pala eolica che alimenta una batteria, ci abbiamo collegato un computer che mi permette di comunicare con la colonia lunare, è grazie a lei se Mario e io stiamo ancora insieme a distanza. Quando arrivo nello scantinato non indossa il suo solito sorriso, i capelli corti, ispidi, le escono dal velo:
– Aldo ci sta lasciando, pensavo che la sua pellaccia dura sarebbe durata un po’ di più, è da stamattina che blatera di confessionali, di matronei, della pallottola che gli ha trapassato la faccia e lo ha lasciato vivo…
Non la lascio finire e vado a vederlo, se ne sta lì posato su una brandina e guarda il soffitto.
– Sai che mia mamma non ci credeva che ero morto, è venuta alla stazione il giorno che sono ritornato a casa. Ma lei che ne poteva sapere che ero ancora vivo? Ero disperso e i referti medici parlavano solo della mia ferita grave. Sono partito per l’Africa senza dirle nulla, le ho fatto firmare il foglio di arruolamento una mattina mentre stava col culo in aria a raccogliere radicchio di campo e me ne sono andato di corsa…
Non so quante volte mi ha raccontato questa storia, passandosi le dita tra i capelli sottili e bianchi, ma quella che preferisce raccontare è un’altra:
-Ero nella baracca, ero rientrato da poco con la moto, un mio commilitone quel giorno aveva pensato bene di farsi sparare addosso, gli ho tappato il buco sul collo con un dito, non era il suo momento. Il maggiore mi ha chiamato d’urgenza, mi ha misurato le spalle e mi ha ordinato di dargli il mio cappotto immediatamente. Non puoi immaginare l’orgoglio di vederlo addosso al supremo leader quella sera quando ha parlato all’accampamento, non era nemmeno previsto che venisse in visita, in quel buco di culo del mondo, in mezzo a quel deserto, con quella sabbia che si infilava dappertutto, tra i denti, nelle cuciture dei vestiti, nei meccanismi degli orologi: il mio si è rotto dopo due giorni che ero arrivato.
-Anch’io ho un orologio fermo. Era di mia nonna, guarda.
Lo agito davanti ai suoi occhi grigi, dietro la sua scorza dura e segnata dal tempo, lo vedo impallidire e prendere fiato.
-Giurerei che è mio, o di qualcuno del mio corpo.
-Mia nonna si chiamava Adele, suo nonno era il sacrestano di una piccola chiesa, mi raccontava di quando ragazzina durante la guerra, trovavano i disperati nascosti nel confessionale, il freddo e la fame li guidavano lì, ne avevano aiutati tanti; li nascondevano, li rimettevano in forze, li facevano dormire nel matroneo, poi com’erano arrivati se ne andavano, eri uno di loro?
– Il mio corpo era stato sciolto, sono stato rimpatriato: ero un fuorilegge, uno sbandato. Mi ricordo di loro: mi hanno salvato. Me ne sono andato di nascosto, ma poi sono tornato, molto tempo dopo. La guerra era finita, ma non avevo più il mio posto nel mondo, pensavo di averlo trovato accanto ad Adele…ma l’ho abbandonata, di nuovo…tu sei la figlia di Luisa?
– Come fai a sapere che mia madre si chiamava Luisa?
Mi tremano le palpebre e ho le guance in fiamme, non capisco, abbasso gli occhi sulle mie mani, lui ne prende una tra le sue.
-Ho amato moltissimo tua nonna Adele ma non potevo farmi carico di una famiglia, credevo di aver dimenticato, ma la vita è prepotente e ora che mi è rimasto così poco da vivere, lei mi ha ricordato quanto sono piccolo e vigliacco, perdonami se puoi…
-Ti ho appena conosciuto nonno, cosa dovrei perdonarti? Ho avuto una buona vita tutto sommato. Credo che nonna ti abbia perdonato molto tempo fa, non ti ha mai dimenticato. Porterò questo orologio con me sulla luna, sono fortunata sai nonno, domani raggiungerò lì il mio fidanzato, poi ci trasferiranno nella nuova colonia su Marte, c’è una speranza per noi. Mario è uno scienziato, abitava vicino alla bottega dei miei genitori ed era sempre tra i piedi, sono cresciuta con lui. Hai anche un altro nipote sai, mio fratello Enrico, ma non lo vedo da tanto tempo, da quando ha fatto saltare per aria i sette piani sopra casa nostra, ha detto che era tutto calcolato…
Lo vedo chiudere gli occhi mentre pronuncio le ultime parole, le sue mani pian piano mollano la presa sulla mia. Mi manca il fiato, inizio a singhiozzare mi sento il peso del mondo franare sulle spalle.
Suor Erminia mi trova china su di lui, una massa di capelli scuri sopra un lenzuolo liso, privo di vita.
Ora che so da dove vengo, so che devo andare.
Biografia essenziale.
Mariavittoria Dantomio nasce a Conegliano nel 1978, vive e lavora ai piedi delle Prosecco Hills. Studi scientifici e linguistici, numerose passioni, quelle che occupano maggiormente il suo tempo sono la letteratura, il cinema e il canto. È una persona curiosa e affamata non solo di cibo, fatta di tanti piccoli pezzi come un mosaico, ma a tutto tondo, da girarci attorno. Se la cava piuttosto bene con la voce, per alcuni anni ha condotto un programma radiofonico di cinema, ama le storie e questo è il suo primo racconto, si sente molto grata per l’opportunità, perché ama le sfide e ringrazia in anticipo il lettore.